Una riflessione sull’art.75 del D.P.R. 309/90 e il C.E.D.: la banca dati sui precedenti di polizia

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Secondo quanto stabilito dall’ art.75 del D.P.R. 309/90, meglio noto come “Testo Unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope”, chiunque illecitamente importa, esporta, acquista, riceve a qualsiasi titolo o comunque detiene sostanze stupefacenti o psicotrope fuori dalle ipotesi di cui all’articolo 73, comma 1-bis (spaccio), o medicinali contenenti sostanze stupefacenti o psicotrope elencate nella tabella II, sezioni B e C, fuori delle condizioni di cui all’articolo 72, comma 2 (uso terapeutico),  viene sottoposto ad una delle seguenti sanzioni amministrative:

  1. a) sospensione della patente di guida o divieto di conseguirla;
  2. b) sospensione della licenza di porto d’armi o divieto di conseguirla;
  3. c) sospensione del passaporto e di ogni altro documento equipollente o divieto di conseguirli;
  4. d) sospensione del permesso di soggiorno per motivi di turismo o divieto di conseguirlo se cittadino extracomunitario.

Come noto, la norma citata integra la fattispecie della detenzione di sostanze stupefacenti per uso personale, cui l’ordinamento reagisce con la sottoposizione del soggetto detentore delle sostanze ad una o più delle sanzioni amministrative sopra elencate, secondo una valutazione da effettuarsi caso per caso.

Lo stesso articolo di legge stabilisce al comma 14 che nel caso di particolare tenuità della violazione, e qualora ricorrano elementi tali da far presumere che la persona si asterrà, per il futuro, dal commetterli nuovamente, in luogo della sanzione, e limitatamente alla prima volta, il prefetto può definire il procedimento con il formale invito a non fare più uso delle sostanze stesse, avvertendo il soggetto delle conseguenze a suo danno.

Dal disposto di legge analizzato il soggetto a cui il prefetto rivolge il formale invito a non fare più uso della sostanza stupefacente sembrerebbe, in assenza di una vera e propria sanzione, non subire dal procedimento sorto a suo carico alcun tipo di pregiudizio. Così non è.

 

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Quali sono dunque le conseguenze di tale provvedimento?

Anche se la contestazione dell’art. 75 non va mai ad intaccare la fedina penale del soggetto che subisce il procedimento (si riferisce infatti ad una condotta sanzionata solo in via amministrativa) ed egli resterà dunque incensurato, la relativa segnalazione come assuntore di stupefacenti sarà invece presente all’interno della banca dati delle forze dell’ordine che elenca i precedenti di polizia (cd. C.E.D.).

Trattandosi di un database che archivia informazioni di molti cittadini, il Centro Elaborazione Dati è ovviamente soggetto al controllo del Garante per la protezione dei dati personali.  L’accesso al CED è consentito solamente agli Ufficiali di polizia giudiziaria e di pubblica sicurezza.

Prendiamo il caso di un cittadino che viene fermato e trovato in possesso di una modica quantità di marijuana. Egli sarà segnalato al Prefetto per la detenzione della sostanza stupefacente per uso personale e il provvedimento amministrativo che gli verrà contestato andrà ad essere inserito in una banca dati consultabile ai fini di polizia. La conseguenza è che ogni qualvolta questo cittadino verrà ad essere sottoposto ad un controllo delle forze dell’ordine, la pattuglia operante, dopo aver effettuato una ricerca nelle banche dati ed aver constatato la presenza di una  segnalazione (anche risalente negli anni), potrebbe essere portata ad approfondire il controllo. Questa condizione, col suo ripetersi nel tempo, potrebbe comportare al cittadino in questione un notevole pregiudizio, sia in termini di perdite di tempo che di reputazione.

Per quanto tempo questa informazione può essere conservata nelle banche dati di polizia? E’ possibile chiederne la cancellazione?

Fino a qualche anno fa si è comunemente ritenuto che i dati acquisiti dal Centro di Elaborazione Dati fossero suscettibili di cancellazione, ai sensi dell’art. 10, comma quinto, della legge n. 121 del 1981 (nuovo ordinamento dell’Amministrazione della pubblica sicurezza), solo in quanto erronei o illegittimamente raccolti. Questo orientamento è stato confermato dalla Cassazione in diverse pronunce (cfr. Cass. pen., Sez. III, 5/04/1989, Barresi; Cass. Pen., Sez. III, 25/09/1997, n. 3000, Fontana; Cass. pen., Sez. I, 26/02/1996, n. 1232, Somma).

L’ottica ispiratrice di tale orientamento ha subito rilevanti modifche per effetto delle norme comunitarie in tema di trattamento dei dati personali, le quali imponendo rigorosi limiti all’acquisizione ed alla conservazione dei dati, sotto il profilo non solo della pertinenza e non eccedenza degli stessi rispetto alle finalità del trattamento, ma anche della persistenza del relativo interesse, hanno infatti contribuito a far emergere la figura del c.d. diritto all’oblio, inteso come interesse della persona ad evitare la divulgazione di informazioni che la riguardano, ove la relativa conoscenza da parte di terzi non possa ritenersi ulteriormente giustificata da un interesse attuale.

Nell’ordinamento dell’Unione Europea  il diritto all’oblio ha trovato definitiva consacrazione nell’art. 17 del regolamento UE n. 2016/679 (GDPR), il quale riconosce all’interessato la facoltà di ottenere senza ingiustificato ritardo la cancellazione dei dati che lo riguardano non solo in caso di revoca del consenso, opposizione, trattamento illecito, offerta ai minori di servizi d’informazione o esistenza di obblighi previsti dal diritto comunitario o interno, ma anche nel caso in cui i dati stessi non siano più necessari per le finalità per le quali sono stati raccolti o trattati.

Tale disposizione si applica anche al trattamento di dati per finalità di polizia, come si evince dall’articolo 10 del D.P.R. 15 gennaio 2018, n. 15 che dapprima stabilisce che “i dati personali oggetto di trattamento sono conservati per un periodo di tempo non superiore a quello necessario per il conseguimento delle finalità di polizia” , e poi nel terzo comma fissa dei termini tassativi di conservazione dei dati in particolari casistiche, decorsi i quali i dati personali soggetti a trattamento automatizzato  devono essere cancellati cancellati o resi anonimi.

In definitiva, l’interessato ha il diritto di chiedere che siano cancellati e non più sottoposti a trattamento i propri dati personali che non siano più necessari per le finalità per le quali sono stati raccolti o altrimenti trattati.

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Qual è la finalità dei dati raccolti ed immessi nelle banche dati della Polizia tramite il provvedimento di formale invito a non fare più uso di sostanze stupefacenti?

Dal disposto dell’articolo 75 in precedenza analizzato emerge come la prima segnalazione quale assuntore di stupefacenti, qualora correlata da occasionalità del comportamento e dal rinvenimento di una quantità modica e dalla quale consegue soltanto un ammonimento da parte del Prefetto, abbia come unico scopo quello di evitare una reiterazione della violazione da parte del soggetto.

La norma, tuttavia, nulla stabilendo riguardo ai termini entro cui questa reiterazione andrebbe a comportare l’applicazione tassativa di una delle sanzioni previste dal primo comma dell’ articolo 75, lascia adito a dubbi interpretativi.

Una soluzione può essere raggiunta ragionando per analogia e partendo dalla previsione del dodicesimo comma dell’art. 75 su citato, che prevede quanto segue: “si applicano, in quanto compatibili, le norme della sezione II del capo I e il secondo comma dell’articolo 62 della legge 24 novembre 1981, n. 689”.

L’articolo 8-bis, inserito successivamente nell’ originario testo della legge 24 novembre 1981, n.69, dispone a riguardo che “si ha reiterazione quando, nei cinque anni successivi alla commissione di una violazione amministrativa, lo stesso soggetto commette un’altra violazione della stessa indole”.

Come naturale conseguenza di quanto esposto finora si ritiene dunque che il cittadino in questione godrebbe del diritto a chiedere la cancellazione dei dati personali relativi alla segnalazione per detenzione di stupefacenti ad uso personale allo scadere del termine di cinque anni dalla chiusura del procedimento amministrativo, in quanto la conservazione dei dati non si rende più necessaria per il conseguimento delle finalità per cui essi erano stati raccolti.

Gennaro Volpe

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