In vista del convegno organizzato per il 17 dicembre 2021 dal titolo “Iperconnessi: il lato oscuro della I-generation“, iniziamo ad anticipare alcuni dei temi che verranno trattati nel nostro incontro, a partire dal cyberbullismo.
Che cos’è il cyberbullismo?
Con lo sviluppo inarrestabile del digitale e l’ampio utilizzo di dispositivi interconnessi per soddisfare esigenze non solo di svago, ma anche formative dei ragazzi, il fenomeno del bullismo ha assunto nuove connotazioni, inserendosi appunto nel mondo digitale e diventando così “cyberbullismo”, ossia l’utilizzo di informazioni elettroniche e dispositivi di comunicazione per aggredire, offendere, molestare una persona o un gruppo di persone.
Esiste ad oggi una legge, entrata in vigore il 18 giugno 2017, con lo scopo di contrastare questo fenomeno e nella quale si legge la seguente definizione di “cyberbullismo”: “Qualunque forma di pressione, aggressione, molestia, ricatto, ingiuria, denigrazione, diffamazione, furto d’identità, alterazione, acquisizione illecita, manipolazione, trattamento illecito di dati personali in danno di minorenni, realizzata per via telematica, nonché la diffusione di contenuti on line aventi ad oggetto anche uno o più componenti della famiglia del minore il cui scopo intenzionale e predominante sia quello di isolare un minore o un gruppo di minori ponendo in atto un serio abuso, un attacco dannoso, o la loro messa in ridicolo.
Gli episodi di bullismo si sono sfortunatamente da sempre verificati, consistendo nell’aggressione o la molestia ripetuta a danno di una vittima in grado di provocarle ansia, isolarla o emarginarla attraverso vessazioni, pressioni, violenze fisiche o psicologiche, minacce o ricatti, furti o danneggiamenti, offese o derisioni. Se tali atti si realizzano con strumenti informatici si ha il cyberbullismo.
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Come è nata la legge contro il cyberbullismo?
Un testo doveroso, necessario, che testimonia una realtà molto positiva: i cittadini e i parlamentari sono stati finalmente scossi e sensibilizzati ed hanno colto l’esigenza di un intervento per dominare un fenomeno così attuale, drammatico ed invasivo.
La Proposta di Legge è stata presentata nel maggio 2014 dalla senatrice Pd, Elena Ferrara, in seguito alla morte della 14enne Carolina Picchio, la giovane violentata e filmata da un gruppo di ragazzi che, in seguito, pubblicarono il video sulla rete.
La senatrice Elena Ferraro, prima firmataria del decreto di legge, era stata tra l’altro docente di Carolina Picchio alle elementari. È stata proprio lei una volta eletta al senato a fare sua questa battaglia con il sostegno di Paolo Picchio, papà di Carolina e la madre della giovane ragazza. Il testo è stato rimodellato e modificato nel corso degli anni e ha subito una lunga e faticosa gestazione che va avanti appunto dal 2013.
Il provvedimento è stato approvato in prima lettura dal Senato il 20 maggio 2015, poi modificato dalla Camera il 20 settembre 2016 e nuovamente ratificato con modificazioni dal Senato il 31 gennaio 2017. Il testo approvato il 17 maggio 2017 è arrivato all’esame di Montecitorio senza successive modifiche da parte del Senato.
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Cosa prevede la legge 71/2017 sul cyberbullismo?
La legge, con riferimento alla rimozione dei contenuti dal web, prevede che il minore vittima di atti di cyberbullismo (o un genitore per suo conto, se il ragazzo ha meno di 14 anni), può inoltrare al gestore del sito internet o del social media, un’istanza per l’oscuramento, la rimozione o il blocco dei contenuti rientranti nelle condotte di cyberbullismo. Qualora entro le 24 ore successive al ricevimento dell’istanza, il soggetto responsabile non abbia comunicato di aver assunto l’incarico di provvedere ed entro 48 ore non vi abbia provveduto, o comunque nel caso in cui non sia possibile identificare il gestore del sito internet o social media, l’interessato può rivolgere analoga richiesta al Garante per la protezione dei dati personali, il quale, entro 48 ore, provvede ai sensi degli artt. 143 e 144 Codice privacy, compilando l’apposito modulo da inviare inviato a: cyberbullismo@gpdp.it.
Inoltre, la vittima (o i genitori) possono scegliere di procedere per la via amministrativa o quella penale. Nel primo caso, invece di sporgere denuncia e querela, possono chiedere di esporre i fatti all’autorità di pubblica sicurezza avanzando allo stesso tempo richiesta di ammonimento al questore, nei confronti del “cyberbullo”. La legge prevede infatti una procedura di ammonimento preventiva in quanto, in presenza di reati non procedibili d’ufficio e a condizione che non vi siano state denuncia o querela, il bullo potrà essere ammonito dal questore (così come avviene per lo stalking in base all’art. 612 bis del codice penale). Al compimento della sua maggiore età, dell’ammonimento non resta più traccia (si “estingue”). L’altra via prevede il ricorso all’autorità per una tutela penale, che per i fatti di cyberbullismo è differenziata a seconda delle specifiche condotte poste in essere dall’artefice degli atti di bullismo.
Quando le condotte di cyberbullismo diventano penalmente rilevanti?
Gli atti di cyberbullismo possono sfociare in fatti penalmente rilevanti quali la diffamazione ex art. 595 cod.pen., il reato di minaccia di cui all’art. 612 cod. pen., il cyberstalking che rientra nell’ambito del reato di atti persecutori ex art. 612 bis cod. pen. e le condotte persecutorie sono costituite materialmente da molestie. Laddove l’ipotesi non sia di per sé grave, potrebbe essere integrata la contravvenzione di molestie ex art. 660 cod. pen. Un’altra condotta è sanzionato dall’art. 167 del Codice privacy, laddove vengano diffusi dati di un soggetto contro – o senza – il suo consenso e da tale condotta derivi un danno alla persona offesa. Se la diffusione illecita avviene su larga scala invece sarà applicabile l’art. 167 bis. Si può poi giungere fino alla configurazione di un reato di percosse ex art. 581 cod. pen. o di lesioni di cui agli artt. 582 cod. pen., fino ad arrivare, nelle ipotesi più gravi, all’omicidio preterintenzionale di cui all’art. 584 cod. pen., nonché a molestie che possono spingere al reato di cui all’art. 580 cod. pen., ossia l’istigazione al suicidio.
Quando, come spesso accade in questi casi, i reati sono commessi da minori tra 14 e 18 anni, a giudicare è il Tribunale per Minori che in sede civile si attiva su ricorso dell’interessato o del pm minorile e in sede penale via procura minorile per episodi di cyberbullismo con rilevanza penale.
Il coinvolgimento di scuola e famiglia
La legge prevede che in ogni scuola deve essere individuato tra i professori un docente referente per le iniziative contro bullismo e cyberbullismo. Il dirigente avrà l’obbligo di segnalare i casi sospetti, informando le famiglie delle vittime e convocando i minori accusati, allo scopo di predisporre misure di assistenza per chi subisce gli atti di bullismo e percorsi rieducativi per chi li compie. Al Miur è affidato il compito di predisporre le linee guida per la promozione di programmi a contrasto del fenomeno del cyberbullismo, puntando anche sulla formazione del personale scolastico. Spetterà poi ai singoli istituti la predisposizione di un programma di educazione alla legalità e al rispetto della privacy, propria e dei compagni. Alle iniziative in ambito scolastico collaboreranno anche Polizia Postale e associazioni territoriali.
Se si assiste a episodi di bullismo senza intervenire, si può rispondere in sede penale e civile e, inoltre, anche i genitori del cyberbullo sono imputabili per culpa in educando.
Conclusioni: l’esigenza di sensibilizzazione ed educazione da parte delle Istituzioni.
La legge e ogni altro tentativo di repressione del fenomeno non è da considerarsi indirizzato esclusivamente ai minori, ma anche ai professori e alle famiglie, ossia quelle istituzioni che dovrebbero svolgere un ruolo centrale nell’educazione dei ragazzi alla parità e al rispetto. L’esistenza dei bulli e dei cyberbulli, infatti, postula a monte un fallimento di queste due grandi e importanti istituzioni, per cui è in questo senso che bisogna intervenire. L’unica strada da intraprendere è quella di educare le persone al senso civico e della morale, facendosi affiancare, perché no, anche dai quei giganti del web che troppo spesso si condannano e demonizzano. Le soluzioni normative e i programmi di educazione digitale andrebbero condivisi con chi vive nel web e “vive del web”, gli unici soggetti forse in grado di capire i meccanismi più oscuri e pericolosi della realtà virtuale. Tuttavia, sappiamo bene che la natura stessa della rete impedisce una tutela giuridica piena e non si presta a stare all’interno di rigide norme. Per cui ciò che resta da fare è promuovere l’alfabetizzazione digitale e una cultura della responsabilità e della consapevolezza. A tale proposito, ci sembra opportuno concludere proprio con le parole della prima firmataria della legge: <<il web, d’altronde, non ha coscienza. Dobbiamo essere noi, in quanto comunità, a costruirla assieme>>[1].
[1] M. Alovisio, <<Bullismo e cyberbullismo: luci e ombre delle modifiche al disegno di legge. Intervista a Elena Ferrara (Pd)>>, Key4biz 09.09.2016
Rosanna Celella