Secondo la Vestager, membro della Commissione Europea con delega alla tutela della concorrenza nel Mercato Unico, vi è il fondato rischio che Amazon abbia (nuovamente) distorto il sistema della libera concorrenza a livello europeo.
Si avrebbe, laddove dovesse essere accertata, una possibile violazione dell’art. 102 del TFUE, il quale statuisce che “È incompatibile con il mercato interno e vietato, nella misura in cui possa essere pregiudizievole al commercio tra Stati membri, lo sfruttamento abusivo da parte di una o più imprese di una posizione dominante sul mercato interno o su una parte sostanziale di questo. Tali pratiche abusive possono consistere in particolare: a) nell’imporre direttamente od indirettamente prezzi d’acquisto, di vendita od altre condizioni di transazione non eque; b) nel limitare la produzione, gli sbocchi o lo sviluppo tecnico, a danno dei consumatori; c) nell’applicare nei rapporti commerciali con gli altri contraenti condizioni dissimili per prestazioni equivalenti, determinando così per questi ultimi uno svantaggio per la concorrenza; d) nel subordinare la conclusione di contratti all’accettazione da parte degli altri contraenti di prestazioni supplementari, che, per loro natura o secondo gli usi commerciali, non abbiano alcun nesso con l’oggetto dei contratti stessi.”.
Tale violazione è dovuta al doppio ruolo che Amazon riveste sul mercato stesso. Infatti, come noto, trattasi di un soggetto che fornisce un marketplace dove i venditori possono vendere i loro prodotti direttamente ai consumatori e, al fine di fornire i servizi ai venditori, ha accesso ad informazioni non pubbliche di questi ultimi, come il numero di unità ordinate e spedite per ciascun prodotto, i ricavi dei venditori sul mercato, il numero di visite per singola offerta, i dati relativi alle spedizioni, i giudizi e i reclami espressi dai consumatori sui prodotti.
Però, al tempo stesso si pone come concorrente degli stessi venditori per diverse tipologie di beni e, per ottimizzare la vendita dei propri prodotti, utilizzerebbe i dati sensibili provenienti dai venditori terzi trattandoli mediante sistemi automatizzati e ponendoli a disposizione del proprio Ufficio Vendite, così da stabilire le migliori strategie di vendita senza essere assoggettata al cd. “rischio di impresa”.
Qualora provata, sarebbe difficile (se non impossibile) negare che una siffatta condotta integri lo sfruttamento di una posizione dominante sul mercato interno, pur non potendosi qualificare come una delle condotte descritte alle lettere a), b), c), d) dell’art. 102, co. 2 TFUE, atteso il carattere esemplificativo e non tassativo delle stesse.
Questa, però, è solo la più recente indagine posta a carico di Amazon, registrata in questi giorni con il numero AT.40703 e, sembrerebbe, nata quasi per “gemmazione” da una precedente indagine, avente il numero di registro AT.40462, che ha avuto origine appena un anno fa e relativa a profili inerenti possibili intese tra Amazon e ricadente nella fattispecie ex art. 101 del TFUE. In tale ultima indagine si era reso necessario verificare il meccanismo che permette ai terzi di usufruire del cd. Buy Box e del programma di fidelizzazione di Amazon Prime, in quanto sembra che vi sia la possibilità che vengano favoriti quei venditori che, per le consegne, si appoggiano alle strutture logistiche di Amazon stessa e ne sfruttano appieno i servizi, così integrando al contempo anche una ulteriore ipotesi di abuso della posizione dominante nei servizi B2C (su cui si è posata la lente della nostra AgCom per mezzo di un Interim Report di quest’anno).
In verità, si potrebbe ragionevolmente affermare che, in quest’ultimo caso, si rivelerebbe definitivamente una ulteriore “forma” di Amazon stessa che, oltre a fornire un marketplace su cui si pone quale concorrente, esercita anche l’attività di operatore postale.
Infatti, è noto che la stessa ha creato un complesso sistema di delivery, per il quale ha dovuto chiedere al Ministero per lo Sviluppo Economico, nel 2018, di essere autorizzata ed inserita nell’elenco degli operatori postali (quantomeno nel nostro Paese), richiesta effettuata solo dopo essere stata sanzionata il 2 agosto 2018 per 300.000 euro dall’AgCom per esercizio abusivo di detta attività.
Ciononostante, per quanto concerne esclusivamente i profili inerenti la condotta anticoncorrenziale, va segnalato che Amazon era già stata sottoposta alle indagini dell’Antitrust nel 2015 (caso AT.40153) a causa della sua condotta anticoncorrenziale che, per mezzo di clausole presenti nei contratti stipulati con le case editrici, rendeva difficile la competizione ad altri soggetti operanti nel mercato degli e-book.
Ora, va specificato che detto caso potrebbe costituire un precedente.
Infatti, per mezzo delle cd. “clausole di parità”, veniva imposto ai fornitori di e-book “i) di informare Amazon su termini e condizioni più favorevoli o alternativi offerti a concorrenti e/o ii) di concedere ad Amazon termini e condizioni dipendenti, direttamente o indirettamente, dalle condizioni offerte a un altro rivenditore al dettaglio di e-book”, con il rischio che tali obblighi potessero “i) ridurre l’incentivazione dei fornitori di e-book a finanziare e investire in modelli commerciali alternativi, nuovi e innovativi, ii) ridurre la capacità e gli incentivi dei concorrenti di Amazon a elaborare e differenziare le loro offerte sulla base di tali modelli, iii) dissuadere dall’accesso e/o espansione i rivenditori di e-book, rischiando in tal modo di indebolire la concorrenza a livello della distribuzione di e-book e rafforzando l’eventuale posizione già dominante di Amazon” nonché “i) ridurre l’incentivazione dei fornitori e rivenditori di e-book a sviluppare e-book che non siano costituiti principalmente da testi e impedire ai rivenditori al dettaglio di differenziarsi, indebolendo in tal modo la concorrenza a livello della distribuzione di e-book, ii) eventualmente indebolire la concorrenza tra i rivenditori di e-book e dissuaderli dall’accesso e/o espansione mediante la limitazione della portata delle offerte differenziate di e-book da parte dei rivenditori di e-book che può determinare prezzi più elevati e una minore scelta per i consumatori.” (Comunicazione della Commissione 2017/C 26/02 sulle clausole MFN).
Tale caso sarebbe considerabile del tutto analogo a quelli sopra delineati in quanto Amazon, già con gli e-book, avrebbe sfruttato dei dati (sia pure sotto forma di comunicazioni dai venditori) al fine di mantenere e/o migliorare la propria posizione dominante sul mercato interno europeo, condotta poi accertata dalla Commissione che, in data 4 maggio 2017, approvava con decisione le misure proposte da Amazon per correggere le distorsioni dei meccanismi della concorrenza.
Luigi Izzo