La questione tanto attuale e dibattuta del delicato bilanciamento fra diritto di cronaca e diritto all’oblio è stata di recente devoluta alle Sezioni Unite, ritenuta ormai indifferibile l’individuazione di univoci criteri di riferimento per valutare quando uno dei due diritti debba considerarsi prevalente sull’altro. È tuttavia fondamentale precisare che tali parametri restano circoscritti, ovviamente, alla sola giurisdizione italiana.
Nelle more della tanto attesa pronuncia delle Sezioni Unite, che segnerà probabilmente un punto di svolta quantomeno nel quadro giurisprudenziale italiano, analizziamo la recentissima sentenza 28084/18 della Terza Sezione civile della Corte di Cassazione.
Il ricorso in Cassazione è stato avverso una sentenza della Corte d’appello di Cagliari, che aveva confermato gli esiti del giudizio di prima istanza, respingendo nuovamente la domanda proposta dal ricorrente nei confronti di un quotidiano nazionale e della giornalista autrice dell’articolo oggetto di doglianza.
L’attore, in primo grado, lamentava la rievocazione di un episodio di cronaca nera, avvenuto 27 anni fa, che lo aveva visto protagonista in quanto responsabile dell’omicidio della moglie, reato per il quale aveva già espiato 12 anni di reclusione. La rievocazione del fatto sarebbe stata per l’uomo fonte di angoscia e di danno reputazionale, avendolo nuovamente esposto alla gogna mediatica, nonché una palese violazione del suo diritto all’oblio. Il quotidiano e la giornalista convenuti in giudizio hanno contestato che lo scopo della rubrica era quello di rievocare alcuni fatti di cronaca nera, avvenuti sul posto negli ultimi 30/40 anni, che avevano, per varie ragioni, profondamente colpito e turbato la comunità; di conseguenza la pubblicazione non avrebbe avuto carattere illecito né avrebbe violato il diritto all’oblio.
Sia in prima istanza che in appello la domanda è stata rigettata, ritenendo prevalente l’interesse pubblico e osservato il principio di continenza espositiva; peraltro è stato evidenziato che lo spirito della pubblicazione dell’articolo non era quello di riportare alla memoria un fatto di cronaca e farne una volontaria spettacolarizzazione, bensì quello di offrire ai lettori, all’interno di una rubrica ben definita e strutturata, riflessioni su temi delicati quali la depressione, la gelosia e l’emarginazione, tanto che il ricorrente veniva rappresentato come “vittima” in un situazione a cui la stessa Corte di Assise aveva a suo tempo riservato un’attenta considerazione.
La sentenza in oggetto è di particolare interesse non solo perché rappresenta il trampolino di lancio di una futura pronuncia sul tema da parte delle Sezioni Unite, ma anche perché opera una necessaria ricognizione del quadro normativo e giurisprudenziale in materia di bilanciamento del diritto di cronaca e del diritto all’oblio. Sulla falsariga di quanto previsto da tale sentenza, ripercorriamo di seguito e approfondiamo i principali riferimenti normativi e giurisprudenziali sul tema.
- L’art. 21 Cost. ha ad oggetto la libera manifestazione del pensiero e si riferisce in maniera ampia al potere-dovere conferito al giornalista di rendere edotta l’opinione pubblica circa fatti e notizie di rilevante interesse pubblico; si parla pertanto di diritto ad informare e diritto ad essere informati e il diritto di cronaca si inserisce nel disposto di tale articolo.
- La sentenza 5259/1984 stabilisce i limiti del diritto di cronaca, subordinandone la legittimità alla sussistenza di tre condizioni: i) utilità sociale dell’informazione; ii) verità (oggettiva o putativa) dei fatti esposti; iii) forma civile dell’esposizione dei fatti e della loro valutazione, rispettosa di quel minimo di dignità cui ogni essere umano ha diritto. Questi tre parametri assumono rilevanza anche in merito al bilanciamento fra diritto di cronaca e diritto all’oblio. Il diritto all’oblio infatti prevale sul primo allorquando: i) viene a mancare l’utilità sociale alla diffusione della notizia; ii) la notizia è diventata falsa perché non aggiornata; iii) manca la continenza espositiva dei fatti, a scapito della dignità dell’interessato.
- La sentenza 3679/1998 ha esplicitamente riconosciuto il diritto all’oblio come <<… giusto interesse di ogni persona a non restare indeterminatamente esposta ai danni ulteriori che arreca al suo onore e alla sua reputazione la reiterata pubblicazione di una notizia in passato legittimamente divulgata>>.
- La sentenza 5525/2012 introduce un concetto di oblio non solo inteso come mero diritto alla cancellazione dei propri dati, e dunque in senso negativo e passivo, ma anche volto all’aggiornamento o integrazione di dati contenuti in un articolo e pertanto in senso positivo e dinamico. Viene riconosciuto infatti, con riferimento alla trasposizione online di archivi storici di testate giornalistiche, il diritto dell’interessato ad aggiornare la notizia in quanto <<la notizia, originariamente completa e vera, diviene non aggiornata, risultando quindi parziale e non esatta, e pertanto sostanzialmente non vera>>.
- L’ordinanza n.6919/2018 della Sezione Prima della Corte di Cassazione ha di recente ripercorso le linee direttrici della questione stabilendo che: <<il diritto fondamentale all’oblio può subire una compressione, a favore dell’ugualmente fondamentale diritto di cronaca, solo in presenza di specifici e determinati presupposti:
1) il contributo arrecato dalla diffusione dell’immagine o della notizia ad un dibattito di interesse pubblico;
2) l’interesse effettivo ed attuale alla diffusione dell’immagine o della notizia (per ragioni di giustizia, di polizia o di tutela dei diritti e delle libertà altrui, ovvero per scopi scientifici, didattici o culturali);
3) l’elevato grado di notorietà del soggetto rappresentato, per la peculiare posizione rivestita nella vita pubblica del Paese;
4) le modalità impiegate per ottenere e nel dare l’informazione, che deve essere veritiera, diffusa con modalità non eccedenti lo scopo informativo, nell’interesse del pubblico, e scevra da insinuazioni o considerazioni personali, sì da evidenziare un esclusivo interesse oggettivo alla nuova diffusione;
5) la preventiva informazione circa la pubblicazione o trasmissione della notizia o dell’immagine a distanza di tempo, in modo da consentire all’interessato il diritto di replica prima della sua divulgazione al pubblico>>.
A parere del collegio giudicante non è dato evincere, tuttavia, se i presupposti indicati nell’ordinanza siano richiesti in via concorrente o alternativa, sebbene nella prima ipotesi il diritto all’oblio sarebbe destinato a prevalere sul diritto di cronaca in casi davvero residuali.
La Corte, in conclusione, ha opportunamente ritenuto necessario un intervento chiarificatore a garanzia del generale principio di certezza del diritto e considerato che << Il bilanciamento tra il diritto di cronaca ed il diritto all’oblio incide sul modo di intendere la democrazia nella nostra attuale società civile, che, da un lato fa del pluralismo delle informazioni e della loro conoscenza critica un suo pilastro fondamentale; e, dall’altro, non può prescindere dalla tutela della personalità della singola persona umana nelle sue diverse espressioni>>.
Altri riferimenti giurisprudenziali e normativi utili in materia sono sicuramente:
- La sentenza della CGUE del 13 maggio 2014, nota come Google Spain, da molti ritenuta consacratrice del diritto all’oblio, ma che riguarda propriamente il diritto alla de-indicizzazione di risultati di ricerca ritenuti pregiudizievoli.
- Dal punto di vista normativo invece occorre segnalare gli 8 e 10 CEDU e 7 e 8 della Carta di Nizza in materia di riservatezza e di protezione dei dati personali. La costituzionalizzazione del diritto alla protezione dei dati personali operata dalla Carta di Nizza ha spinto negli ultimi anni la Corte di Giustizia europea ad elaborare una giurisprudenza sempre più incisiva e coraggiosa (di cui Google Spain è capofila) che ha influenzato notevolmente il diritto europeo per la protezione dei dati personali, confluendo nel nuovo Regolamento europeo (GDPR).
- Non si può pertanto concludere questo novero di riferimenti principali, ma non esaustivi, senza citare l’ 17 del GDPR, richiamato anche dalla Suprema Corte nella sentenza finora analizzata. L’art. 17 ha finalmente costituzionalizzato il diritto alla cancellazione o diritto all’oblio; il paragrafo 3 di tale articolo elenca i casi in cui il trattamento dei dati è necessario e quindi non limitato dal diritto all’oblio e tra questi è annoverato anche l’esercizio del diritto alla libertà di espressione.
Tuttavia è opportuno precisare che l’esercizio del diritto all’oblio inerente a fatti e notizie diffusi in rete e dunque il suo bilanciamento col diritto di cronaca è una fattispecie differente dal diritto alla cancellazione di cui all’art. 17 GDPR che attiene, invece, al diritto dell’interessato di ottenere dal titolare del trattamento la cancellazione dei dati personali che lo riguardano, sempre che ne ricorrano le circostanze e che non sia prevalente l’interesse legittimo del titolare a conservarli. Peraltro, come stabilito dalla CGUE nella sentenza Google Spain, si può ottenere la de-indicizzazione dai motori di ricerca ed eventualmente la cancellazione dagli archivi dei giornali online, ma un oblio totale e definitivo è una pura illusione, una volta che una notizia sia confluita nel mare magnum della rete: è bene (ma anche triste) ricordare che la rete non dimentica.
Rosanna Celella